Letteratura,  Politica,  Storia

Il Potere che non so dove sia

Il potere che non so dove sia1 diceva Pier Paolo Pasolini in una trasmissione che si interrogava sul ruolo della famiglia in una società in piena trasformazione. Dov’è il potere? Che testa ha? Come si muove? Dove occorre guardare?

Capi militari, signori potenti, nobili, dittatori. Capi bastone politici, mafiosi, proprietari di grosse aziende senza scrupoli, aspiranti solisti nei giochi del potere. Chi era un tirannide? Chi è? Cosa può dire – ancora – questa parola in una società democratica come la nostra? Una società in cui milioni di persone (circa 12 alle ultime politiche) non si recano più alle urne, lobby si muovono tra le fessure come anguille (non pochi i casi di illeciti commessi nelle istituzioni durante l’evolversi della pandemia) e i partiti mainstream si rivelano sempre più contenitori vuoti di persone e pieni di lotte intestine (qui non scappa nessuno, gli unici a consultare la base sono i 5Stelle con modi molto discutibili).

Bartolo da Sassoferrato e Niccolò Machiavelli, due studiosi chiave del pensiero politico medievale-moderno hanno dedicato ampie pagine a questo mostriciattolo di corpi e azioni chiamato Tiranno. Bartolo da Sassoferrato è un giurista, nato vicino Ancona, nel 1313 o 1314. Studia a Perugia e poi a Bologna sotto la supervisione di Iacopo Butrigario. Dal 1339 comincia ad insegnare a Pisa e la sua fama comincia a crescere fino a divenire nel 1355 il consigliere dell’imperatore Carlo IV. Insomma il potere lo ha potuto osservare da vicino. Bartolo da S. ha scritto moltissime opere, su tutte qui ricordiamo De regimine civitatis e il De Tyranno, propriamente politiche. La prima discute i diversi modi di governare le città e l’eterna questione della migliore forma da adottare. Ancora oggi fior fior di analisti e cittadini più o meno interessati, in maniera del tutto strumentale, si chiedono cosa sia meglio tra democrazia e regimi autoritari. In Italia capita ancora di sentire che il regime fascista tutto sommato ha fatto cose buone. Spesso si omette l’intensità di un fatto politico: i costituenti scrissero l’articolo 3 consapevoli che la democrazia italiana avrebbe dovuto compiere un processo verso la pienezza. Ad ogni modo, il secondo testo tratta la categoria della tirannide2.

Niccolò Machiavelli, invece, nasce nel 1469, ma sulla sua vita non si hanno informazioni prima della soglia dei trent’anni, cioè prima del 1498, anno in cui fa il suo ingresso in politica. Infatti, il 19 giugno di quell’anno Machiavelli viene nominato segretario della seconda cancelleria. L’attività di Machiavelli è documentata da un gran numero di scritti frutto di rapporti su missioni condotte fuori Firenze. Tuttavia, nel 1513, al ritorno dei Medici, Machiavelli viene prima estromesso dall’incarico e poi condannato al confino, infine arrestato e torturato. Si ritira nel podere dell’Albergaccio. Al 1513-1517 risale la stesura dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, la cui opzione politica è per la forma di governo repubblicana, facendo dello studioso un apparente anti-mediceo. Sempre di quegli anni è la scrittura del De principatibus.

Passiamo ai contenuti. Bartolo da Sassoferrato già nel trattato De regime civitatis aveva delineato – tradizione inaugurata dalla Politica di Aristotele – sei regimi di potere tradizionali. Tuttavia, Bartolo da S. aggiunge un settimo regime, quello in cui vi sono diversi tiranni, quindi debole in due sensi: per mancanza di virtù e incapacità di imporre il dominio. È, però, il De Tyrannidus l’opera in cui il tema è trattato approfonditamente.

Bartolo ha toccato con mano il potere e sa che questo non si mostra mai tutto. Così parla della tirannide occulta (velata et tacita) che prende due forme: propter titulum e propter defectum tituli. Nel primo caso ci si riferisce al regime tirannico che opera apparentemente nel rispetto delle regole costituzionali mentre con la seconda al potere esercitato da una carica che diviene così importante da influenzare gli altri poteri nelle decisioni.

Niente male vero? Infine, il giurista introduce un altro caso: nullum titulum. Cioè la situazione in cui il potente esercita il controllo senza ricoprire alcuna carica pubblica.

Ma chi è il tiranno quindi? «è tirannico il regime in cui si il governante persegue maggiormente i propri interessi»3.

Machiavelli che ne pensa? Proviamo a leggere nei Discorsi e nel Principe. Machiavelli scrive di un principato civile, basato sul consenso del popolo, e uno tirannico fondato sulla violenza. Tralasciando i modi con cui un principe può conquistare il potere, è utile ricordare il capitolo 1, 26 in cui Machiavelli spiega come chiunque voglia diventare principe di una città in origine deve poter «fare ogni cosa», caratterizzandosi per i modi violenti: «sono questi modi crudelissimi, e nimici d’ogni vivere, non solamente cristiano, ma umano»4. Insomma, senza pietà.

Di dittatura Machiavelli parla nel capitolo 1, 34, prendendo esempio dalla vicende della repubblica di Roma. In particolare per lo studioso fiorentino la dittatura si configura come un regime politico necessario in alcuni momenti e soprattutto «il Dittatore era fatto a tempo, tempo, e non in perpetuo, e per ovviare solamente a quella cagione mediante la quale era creato»5. Emerge, quindi, che Machiavelli riconosce l’utilità della dittatura come potere assoluto (similmente alla tirannide) quando esso viene esercitato entro limiti precisi (innanzitutto temporali). Una sorta di potere assoluto a tempo determinato.

Quel che possiamo dire è che i due autori convergono sulla critica del potere tirannico, seppur con differenti prospettive come diremo a breve. Inoltre, sia Bartolo da S. che Machiavelli operano una riflessione teorica che muove verso situazioni politiche concrete più che verso generalizzazioni astratte.

La divergenza che emerge dai contenuti si può ricondurre, invece, alle prospettive con cui gli studiosi hanno analizzato lo stesso regime di potere. In particolare, mentre Bartolo da S., come giurista, ritiene più utile classificare le forme di governo e suggerire le migliori applicazioni (ad esempio, un governo popolare è più indicato per le comunità più piccole) a realtà circostanti concrete; Machiavelli, in quanto politico6 e scrittore, mira a proporre riflessioni pratiche su casi politici particolari e per questo meno apparentemente coerenti tra loro, comunque legati dall’intento di fornire una chiave di risposta alla crescente instabilità politica dei territori della penisola. Insomma Machiavelli viveva quella contingenza politica che gli permetteva di muoversi liberamente tra posizioni opposte con l’idea di fare la scelta più giusta in specifici casi. Poi col tempo gli studiosi se lo sono diviso tra una lettura cattiva e malvagia (“il fine giustifica i mezzi”, sì ma quale fine?) e una lettura democratica e liberale (e il principe che può usare «modi crudelissimi»?).


1. https://www.youtube.com/watch?v=TjLjJsBYU3s

2. Cfr. B. Pio, Il pensiero politico di Bartolo, in « Bartolo da Sassoferrato nel VII centenario della nascita: diritto, politica, società », Centro italiano di studi sul basso medioevo – Accademia Tudertina, 2013.

3. Ivi, p.194.

4. Cfr. N. Machiavelli, Discorsi sulla prima deca di Tito Livio, Bompiani, Milano, 2004.

5. Ivi.

6. Si veda a proposito dell’attitudine più propriamente politica e meno teorico-riflessiva di Machiavelli il lavoro di F. Bausi, Machiavelli, Salerno editrice, Roma, 2005.

Francesco Caiazzo

Studente di Storia, Università di Bologna, Pugliese.

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