Scienza

Buchi neri e “dove” trovarli: misteriosi oggetti nell’universo

Il termine Buco Nero è utilizzato in astrofisica per identificare una regione di spazio con un campo gravitazionale così intenso, da cui nulla, nemmeno la luce, riesce a fuggire. Questo fenomeno fisico era stato teorizzato quasi un secolo fa nella teoria generale della relatività di Albert Einstein. La gravità può essere intesa come una deformazione del tessuto spazio-temporale, piegato da qualsiasi corpo dotato di massa (Figura 1). Come detto prima, i buchi neri sono oggetti dotati di una massa elevata e piegano il tessuto gravitazionale in modo così intenso da creare un punto chiamato singolarità gravitazionale (teorizzato), in cui la curvatura dello spazio-tempo tende ad un valore infinito. Karl Schwartzschild (astrofisico tedesco) fu uno dei primi a parte Einstein a teorizzare la presenza di oggetti così massicci da curvare lo spazio e rallentare lo scorrere del tempo.

Questi corpi così misteriosi sono caratterizzati dall’”orizzonte degli eventi”, regione che ne delimita i confini osservabili.

Figura 1

Il 10 aprile del 2019, dopo anni di studi e di analisi, ecco che viene diffusa la prima immagine destinata a segnare una svolta nella storia dell’astronomia. E’ così che siamo riusciti finalmente a dare un volto alla relatività di Einstein. Il progetto Event Horizon Telescope (Hht), che ha visto coinvolti una sessantina di istituti scientifici di tutto il mondo, tra cui anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica, ha dato vita a questa spettacolare immagine (Figura 2) che ritrare il buco nero supermassiccio al centro della galassia Messier 87, a circa 16 megaparsecs (55 milioni di anni luce).

Un esperimento importante come prima prova di questa teoria fu l’eclissi di Sole del 29 maggio 1919. Albert Einstein notò che le stelle dietro il sole si trovavano in una posizione differente rispetto a quella prevista, perché la loro luce era stata curvata dal campo gravitazionale del Sole.

Il film Interstellar, diretto da Christopher Nolan nel 2014, offre una buona interpretazione dei concetti dei buchi neri e dei warm hole. Ricordiamo infatti che il fisico teorico Kip Thorne (premio Nobel 2017) ha contribuito all’accuratezza scientifica, lavorando sulle equazioni e assicurandosi che le leggi della fisica non fossero violate.

Figura 2

La foto è il risultato di dati usati ed elaborati (milioni di gigabyte) in due istituti di calcolo: il MIT di Boston e il Max Planck institut di Bonn. Nell’immagine è possibile osservare “l’ombra” del buco nero. L’anello rossastro, chiamato disco di accrescimento raffigura la materia al suo interno, che riscaldandosi emette luce visibile grazie ai radiotelescopi. La differenza dei colori (dal giallo al rossastro) dipende principalmente dalla velocità con cui il materiale gassoso orbita nel disco. Più ci si avvicina al buco nero e più è elevata la velocità, mentre all’esterno diminuisce creando questa sfumatura di colore. È importante osservare che un orologio nei pressi di un buco nero procede più lentamente rispetto ad uno più lontano. Questo effetto è chiamato dilatazione temporale.

L’Italia è coinvolta in questo straordinario risultato. Infatti, partecipa al progetto Europeo Black Hole Cam (Bhc), di cui fanno parte l’Istituto Nazionale di Astrofisica e l’Istituto di radioastronomia di Bologna. Alla ricerca hanno collaborato anche ricercatrici dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.

È doveroso nominare Stephen William Hawking (deceduto nel 2018), cosmologo, matematico, fisico teorico e divulgatore scientifico britannico, il quale mostrò che i buchi neri emettono una radiazione termica che corrisponde ad una certa temperatura (temperatura di Hawking).

Esistono tre leggi della termodinamica dei buchi neri:

Legge zero: l’orizzonte degli eventi di un buco nero ha una gravità di superficie costante (analoga al principio zero della termodinamica).

Prima legge: nelle perturbazioni di buchi neri stazionari il cambiamento di energia è correlato alla variazione del cambiamento di area, del momento angolare e della carica elettrica.

Seconda legge: l’area dell’orizzonte è una funzione che non decresce nel tempo.

Terza legge: Non è possibile formare un buco nero con gravità superficiale in fuga.

Per la comprensione ai “non addetti ai lavori” di queste teorie e leggi fisiche, nel corso del tempo sono stati pubblicati centinaia e centinaia di libri (anche per ragazzi) che rendessero il tutto più semplice possibile così da migliorare la divulgazione scientifica. Si potrebbe partire da Margherita Hack (astrofisica italiana), la quale nel 1978 ha fondato la rivista bimensile L’astronomia; successivamente insieme a Corrado Lamberti (divulgatore astronomico) ha diretto la rivista di cultura astronomica Le stelle. È importante inoltre dedicare un piccolo spazio alle pubblicazioni di Hawking e Penrose. Dal Big Bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, è senza dubbioil più importante saggio di Hawking pubblicato nel 1988. L’intento fu quello di rendere comprensibile l’idea di base di Stephen, fornendo una piccola introduzione di nozioni basilari di fisica. Il libro divenne subito un best seller rendendo nota la teoria cosmologica da cui è stato tratto il film Dal Big Bang ai buchi neri (docu-film del 1991), che nella versione anglosassone mantiene il titolo originale “A Brief History of Time”.

In merito a ciò bisogna fare un piccolo riferimento al film “The theory of everything” (2014 – diretto da James Marsh), pellicola biografica su Stephen Hawking.

Figura 3.  L’immagine raffigura Stephen in una scena del film.

Roger Penrose, invece, è un matematico, fisico e cosmologo britannico molto amico di Hawking, infatti nel 1988 entrambi hanno ricevuto il Premio Wolf per la fisica.

Noto soprattutto per i suoi contributi alla cosmologia tanto da fargli vincere (insieme a Reinhard Genzel e Andrea Ghez) nel 2020 il Premio Nobel per la fisica.

Il premio dell’Accademia delle Scienze svedese, si è sdoppiato ed è andato per metà a Roger Penrose “Per la scoperta che la formazione dei buchi neri è una robusta previsione della teoria generale della relatività”, e per l’altra metà congiuntamente a Reinhard Genzel e Andrea Ghez “Per la scoperta di un oggetto compatto supermassiccio al centro della nostra galassia”.

«Questo premio Nobel premia tre fisici che hanno lavorato in diversi contesti e che hanno studiato i buchi neri» ha spiegato a Il Bo Live Roberto Turolla, docente del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Galileo Galilei” dell’università di Padova.

 Per Roger Penrose è più un riconoscimento ad una lunghissima e di altissimo livello carriera dedicata allo studio dei buchi neri da un punto di vista teorico.

Una importante pubblicazione di Penrose è Dal Big Bang all’eternità che, sfruttando in modo originale le più importanti scoperte cosmologiche (dalla materia oscura all’energia oscura, dalla radiazione cosmica di fondo ai buchi neri e alla loro evaporazione finale prevista da Hawking), avanza una proposta che raccoglie tutti questi elementi in una spiegazione unitaria, mostrando come il destino dell’universo in continua espansione possa essere reinterpretato come un nuovo Big Bang, portando così alla luce una teoria chiamata “Cosmologia ciclica conforme”.

Non bisogna però pensare che non ci siano libri o riviste di stampo italiano poiché basti nominare Carlo Rovelli (fisico e saggista esperto di fisica teorica) il quale grazie a Sette brevi lezioni di fisica, è riuscito a far appassionare e a rendere tutto più semplice qualcosa che di sua natura, semplice non è. Inoltre, con il suo saggio L’ordine del tempo, è stato inserito nella lista dei 100 migliori pensatori del mondo («Global Thinkers») dalla rivista Foreign Policy.

Possiamo tenere presente anche Adrian Fartade che per i giovani astrofili italiani è un mito. Migliaia di appassionati, studenti e curiosi occasionali si ritrovano sul suo canale di divulgazione scientifica, uno dei più frequentati di YouTube Italia (61 mila iscritti), per seguire i bollettini sulle ultime novità di cosmologia, astrofisica e astrobiologia. “Link4universe” (nome del suo canale), è nato quattro anni fa per introdurre il grande pubblico al complesso mondo dell’astronomia.

Dopo decenni di intensa ricerca, oggi sappiamo che di buchi neri ne esistono diverse categorie, e la fisica del loro comportamento e di come la loro presenza influenzi lo spazio circostante risulta più strana del più visionario dei romanzi.

Nel libro “I buchi neri”, Gubser e Pretorius introducono il lettore alla teoria della relatività, per passare in seguito ad analizzare i buchi neri sia come oggetti astronomici, sia come laboratori teorici nei quali i fisici possono mettere alla prova la loro comprensione della gravitazione, della fisica quantistica e della termodinamica.

I buchi neri possono essere classificati per tipologia:

1)Tipo di comportamento

Si dividono in due categorie: quelli rotanti e quelli non rotanti.

I primi, chiamati anche buchi neri di Kerr, ruotano su sé stessi o attorno ad un asse come fanno le stelle e i pianeti. Questa rotazione viene ereditata dalla conservazione del momento angolare della stella da cui hanno origine. Essi assumono una velocità di rotazione elevatissima. La loro morfologia dipende non sono dalla singolarità e dall’orizzonte degli eventi ma anche dalla cosiddetta “ergosfera”; una zona di spaziotempo distorto dalla rotazione del buco nero. Il limite esterno di questa regione di spazio si chiama “limite statico”.

Quelli non rotanti invece, sembrano essere statici. Non hanno un movimento rotatorio intorno al proprio asse. Sono distinguibili in quanto dotati solo di singolarità e orizzonte degli eventi.

2) Densità

Questa classificazione raggruppa i buchi neri in base alla loro massa, o meglio, in base al rapporto tra la massa e la dimensione. Un oggetto con la massa del Sole e con la stessa dimensione sarebbe solo una semplice stella. Se volessimo trasformare la Terra in un buco nero, sarebbe necessario comprimere la sua massa in una sfera delle dimensioni di una monetina. In questo raggruppamento si inseriscono quattro tipi di buchi neri: buchi neri stellari, buchi neri supermassicci, mini-buchi neri e buchi neri intermedi.

I buchi neri stellari sono il risultato di esplosioni di stelle molto massicce e di solito molto giovani. Quando queste stelle muoiono esauriscono l’idrogeno, l’elio e altri materiali leggeri. Il ferro, molto più pesante degli altri elementi, diventa il materiale prevalente della zona esterna di queste stelle. A questo punto la pressione delle radiazioni provoca un’esplosione massiccia che genera una supernova. Se la massa di ciò che rimane della stella è minore di un certo limite (limite di Volkoff), allora l’oggetto risultante può essere una nana bianca oppure una stella di neutroni. Se la massa di tale oggetto supera questo limite, allora ciò che ne rimane dopo inizierà ad implodere su se stesso fino a raggiungere una densità elevatissima in un volume piccolissimo: generando un buco nero stellare. La massa di tali buchi neri va dalle cinque alle dieci masse solari compresse in un raggio dai 15 ai 20 km. Nelle galassie, i buchi neri stellari si trovano senza una precisa posizione. L’importante è che li, in un passato più o meno remoto, ci sia stata una stella abbastanza massiccia da esplodere in supernova ed aver saltato poi sia lo stato di nana bianca che di stella di neutroni. Generalmente, i buchi neri stellari non crescono di dimensioni in quanto si trovano in zone con poco materiale gassoso e con densità stellare mediamente bassa. Ovviamente la quantità di materia fagocitata non è minimamente paragonabile a quella dei buchi neri supermassicci.

I Buchi neri Supermassicci sono in assoluto quelli più mostruosi che esistano. Li troviamo nel centro delle galassie e spesso vengono identificati anche come Quasar.

La loro massa può variare da un milione a qualche miliardo di masse solari. La massa di questi buchi neri è compressa in dimensioni che vanno dalle 15 volte quella del sole a quella del sistema solare. Per fare un esempio concreto, Sagittario A*, il buco nero supermassiccio nel cuore della nostra Via Lattea, ha una massa pari a quella di 4.000.000 di soli. Questa materia è compressa all’interno di un raggio pari a solamente 17 soli. Questi numeri ci fanno capire come sia grande la discrepanza tra la massa e la dimensione paragonata al nostro sole, e soprattutto, come mai i buchi neri supermassicci abbiano una forza gravitazionale così importante. Nonostante tutto, Sagittario A* non è un buco nero davvero grande. Nell’ammasso di galassie Abell 85, c’è una galassia catalogata come Holmberg 15A, che ospita nel suo centro un buco nero supermassiccio di 40.000.000.000 (40 miliardi) di masse solari, compresse in uno spazio grande quanto l’orbita di Plutone. I buchi neri supermassicci sono molto antichi, si pensa che alcuni si siano formati solo 690 milioni di anni dopo il Big Bang. Questo mette in crisi molti cosmologi che ancora non hanno le idee ben chiare su come si siano formati. L’ipotesi del collasso diretto a catena prevede che il buco nero supermassiccio sia stato in origine un buco nero stellare, formatosi cioè dall’esplosione in supernova di una stella molto massiccia. Queste stelle possono aver generato buchi neri stellari che, se collocati nei centri galattici (dove la densità stellare è molto elevata), avrebbero iniziato a nutrirsi delle stelle vicine con un processo a catena. Esiste però anche un’altra ipotesi, quella della generazione da materia oscura o anche nota come “ipotesi da quasi stella”.  Secondo questa teoria, dopo il Big Bang, in un universo omogeneo, laddove oggi ci sono le galassie, oggi sono presenti aloni di materia oscura. In questi aloni, si sarebbero venute a formare zone molto più dense di altre che sarebbero collassate in oggetti quasi stellari. Ma cosa vuol dire “quasi stellari”?

Vuol dire che la forza gravitazionale generata da queste zone è stata così alta da impedire l’accensione della reazione nucleare necessaria per accendere una stella. Si sarebbero quindi formati dei buchi neri senza passare dalla fase di stella massiccia.

Entrambe queste ipotesi però hanno un punto in comune: quando un buco nero si trova al centro di una galassia, può diventare sempre più grande per accrescimento trovando intorno a sé tutto il materiale che gli serve per raggiungere le dimensioni in cui lo vediamo oggi.

I buchi neri intermedi invece hanno masse e dimensioni intermedie tra un buco nero stellare e uno supermassiccio. La massa di questi buchi neri va da qualche centinaio a qualche milione di masse solari, ed è compressa in uno spazio grande circa il doppio di Giove. Troviamo questo tipo di buchi neri all’interno di ammassi globulari, zone periferiche delle galassie che ospitano ammassi di stelle molto vecchie e massicce. La loro posizione e il fatto che si trovino in zone ad altissima densità stellare, suggerisce agli astronomi che i buchi neri intermedi siano stati buchi neri stellari che hanno avuto la fortuna di trovare sul proprio cammino molte stelle da permettere loro di ingrandirsi.

I micro-buchi neri, o nano buchi neri, sono buchi neri teorici. Si sono formati probabilmente nelle primissime fasi di vita dell’universo e sono subito scomparsi. La massa di un micro-buco nero sarebbe stata all’incirca quella di una moneta da 5 centesimi di euro: 5 grammi. Non sembra vero? Beh, non proprio se pensiamo che la sua dimensione è stata più piccola di quella di un atomo: prossima a quella di un protone. Teoricamente i micro-buchi neri avrebbero avuto un raggio di 10 alla -30 metri (30 zeri). Questi numeri sono difficili da comprendere ma volendo fare un paragone più comprensibile si può pensare che se un mini-buco nero avesse avuto la dimensione di una moneta da 5 centesimi di euro, al suo interno avrebbe racchiuso una massa pasi a quella dell’intero pianeta Terra!

3) Attività

Un’altra importante classificazione è quella per l’attività, un po’ come per i vulcani!

Distinguiamo i buchi neri attivi e i buchi neri non attivi. I primi, sono buchi neri che in questo momento stanno interagendo con la materia circostante: stelle, gas o polvere, attirandola verso il proprio orizzonte degli eventi. Quando la materia entra nel buco nero, lo fa ad una velocità altissima. Si surriscalda emettendo radiazioni in tutto lo spettro visibile. Questo fenomeno rende i buchi neri attivi tutt’altro che neri. In alcuni casi li rende addirittura molto luminosi, come nel caso dei quasar e dei nuclei galattici.

I buchi neri non attivi, al contrario, non stanno attirando nulla. Non emettono alcuna radiazione. Sono buchi neri nel vero senso del termine. Questi sono quelli più difficili da individuare e l’unico modo che abbiamo per intuirne la presenza è osservare gli effetti gravitazionali sulle stelle vicine.

Figura 4

Per concludere, si può dire che queste sono state svolte sensazionali e che sono solo il primo passo verso la comprensione della parte più intima e oscura del cosmo in cui i buchi neri sono i protagonisti di una delle più interessanti questioni che accomuna i fisici e gli astronomi di tutto il mondo: l’equazione che unisce la relatività generale di Einstein con la meccanica quantistica (la quale si occupa delle altre forze dell’universo), raggiungendo la tanto cercata Teoria del Tutto.

«Remember to look up at the stars and not down at your feet… And however difficult life may seem, there is always something you can do, and succeed at.»

(Stephen W. Hawking)

Federica Di Comite

Studentessa di Astronomia, Università di Padova, Pugliese.

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