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Le Case “bianche” di Taranto e il progetto T.R.U.St. che le colora di Speranza

La convinzione che l’arte fosse legata a epoche passate, a grandi e celebri artisti che hanno segnato la storia dell’arte mondiale è sempre stata una credenza comune e ben radicata nella cultura della gente amante e non della materia e perché no anche di alcuni esperti che ritenevano che l’arte si fosse fermata a Michelangelo. Negli ultimi anni dietro al concetto di opera d’arte si sono sviluppati dei grandi cambiamenti; ma proseguiamo per gradi; iniziamo con il dare una definizione di cosa è socialmente accettato con il termine di opera d’arte:

«L’opera d’arte è qualsiasi prodotto, manufatto come dipinto, scultura, architettura nato dalla creatività, dalla abilità, dalla tecnica dell’uomo».1

Avere una definizione dell’opera d’arte aiuta quando ci si approccia davanti alla maestosità di un prodotto artistico sui generis. L’arte contemporanea ci spaventa proprio perché rinnega tutto quello che una persona impara negli anni studiando la storia dell’arte del Quattrocento fortemente radicata ai canoni estetici quasi estremizzati. Famosissima è l’espressione di nome e di fatto dell’artista Maurizio Nannucci del 2005: «All art has been contemporary» poi diventata una sua opera d’arte a neon. L’artista vuole far riflettere su come ogni opera d’arte sia stata contemporanea per una civiltà, la Gioconda è stata contemporanea per Leonardo Da Vinci e per i fiorentini e i milanesi del Cinquecento, le Sfingi egiziane per i Faraoni.

 Installazione (non ha postazione fissa) di Maurizio Nannucci in vari musei europei.

Ma ai giorni d’oggi, dopo aver incontrato i maggiori esteti della storia, cosa può avere un tale impatto comunicativo e sociale da sconvolgere lo spettatore? È possibile rispondere a questa domanda con una sola corrente artistica ormai famosissima in tutto il mondo: il “Graffitismo” o “Street art”. Entriamo nel particolare del genere artistico e diamogli una collocazione storica. Si inizia a parlare di Street art negli anni Settanta circa quando le bande americane al fine di far viaggiare i lori pensieri, messaggi o semplicemente il loro tag (nome d’arte) inizialmente in forma clandestina  su treni, sfruttavano pullman e mezzi di trasporto pubblici. L’obiettivo era proprio dare l’idea che il viaggio dei loro pensieri potesse essere il più veloce possibile e arrivare facilmente alle persone per  essere facilmente conosciuti e riconosciuti. Le radici del graffitismo però sono molto più antiche:

«Anche se fino ai primi del Novecento una buona parte della popolazione del cosiddetto mondo civilizzato ha vissuto nell’analfabetismo, tracce di graffiti sono state trovate fin dall’epoca classica, senza dimenticare le pitture rupestri che già l’uomo primitivo realizzava sulle pareti delle caverne. Al di là dei casi di protesta politica, il fenomeno del graffiti writing ha iniziato ad assumere una precisa valenza sociale e culturale negli anni Trenta nelle grandi metropoli americane. Ai tempi della grande depressione, i lustrascarpe avevano bisogno di marcare il “territorio” scrivendo il proprio nome sul marciapiede, per non perdere il posto di lavoro in mezzo a una concorrenza sempre più agguerrita e numerosa. All’epoca però gli spray non c’erano e spesso neanche pennelli o pennarelli e dunque si ricorreva a pennarelli artigianali fatti con il lucido da scarpe»2. 

Ma oggi cosa rende così affascinante questa corrente artistica molto spesso erroneamente scambiata con un atto di inciviltà o con un fenomeno di teppismo? Oltre alla bellezza di queste opere d’arte a cielo aperto dai colori sgargianti e dalle figure politematiche vi è molto di più: sono opere d’arte che, abbellendo i muri delle grandi città riqualificano territori marginali, abbandonati a sé stessi e che molto spesso hanno delle grandi storie problematiche da raccontare. Paolo Von Vocano, in un seminario presso l’Università di Roma Tor Vergata a cui ho partecipato, ha definito l’arte come un dono che non è per sé stessi, ma per gli altri!

«Il proliferare negli ultimi anni di eventi ufficiali ha permesso ai writer di uscire alla luce del sole. È così iniziata una proficua collaborazione, in Italia come all’estero, con le istituzioni per riqualificare, con opportuni progetti e finanziamenti, le aree degradate dei tessuti urbani attraverso la realizzazione di murales. I professionisti dello spray hanno quindi iniziato a scoraggiare l’attività clandestina, perché non più necessaria a esprimere la propria creatività, dopo l’ottenimento di questi spazi concordati. In quasi tutti resta però l’orgoglio di essere riusciti a trasformare, con la qualità intrinseca delle loro opere, qualcosa di inizialmente dileggiato e combattuto in una forma d’arte utile alla rinascita degli stessi quartieri in cui magari, solo qualche anno prima, venivano inseguiti dalle forze dell’ordine mentre andavano in giro di notte a tentare di abbellire muri e palazzi con i loro murales»3.

Il disagio nelle periferie delle grandi città è un dato di fatto, ma ci sono tanti luoghi tra le fabbriche abbandonate, le case occupate che diventano la tela perfetta per numerosi artisti. Vi sono tantissimi esempi di rivalutazione urbana come Once Upon a Town, James Earley a Dublino, i murales di Tormarancia e San Basilio a Roma. Con caloroso affetto tra questi esempi posso citare una meravigliosa iniziativa  che prende il nome di “Progetto Trust” e che si svolge nella città di Taranto. A questo progetto ho deciso di dedicare il mio contributo. Citando il famoso “Street artist Blu”4 che, dopo avere realizzato il murales intitolato “San Basilio” per il progetto Sanba del 2015,  ha esplicato quello che per me è la Street art: I murales non sono solo disegni dipinti sui muri, dietro vi è molto di più.

Ho avuto il piacere di intervistare Mario Pagnottella, l’organizzatore del Progetto T.R.U.St. (Taranto Regeneration Urban Street), con il quale ho avuto un grande scambio di punti di vista, condividendo lo sguardo verso un futuro migliore per la nostra città per troppo tempo conosciuta ai più solo per le questioni ambientali legate all’acciaieria ex Ilva. Le prime domande che ho posto all’organizzatore Pagnottella hanno riguardato  le motivazioni dietro il  progetto,  e la volontà del Comune nel voler supportare un’iniziativa completamente innovativa per la città di Taranto. 

L’idea dietro Progetto T.R.U.St. è dare un nuovo volto alla città. Questo confronto è stato molto confortante perché dalle sue risposte ho potuto constatare come il Comune, seppur inizialmente scettico rispetto alle proposte, si è convinto a supportarlo. Il progetto Trust nasce nell’ottobre del 2019 con la collaborazione dell’associazione “Rublanum” che dal 2012 si impegna a «rimuovere il tessuto urbano e sociale con l’idea che dal bello nasce il bello» (slogan della pagina instagram). Ha cominciato poi a svilupparsi dal dicembre dello stesso anno ed è terminato in ritardo (causa pandemia) nel settembre 2020. 

Le mie altre domande si sono sviluppate sulla questione della scelta della zona su cui dipingere e dei temi trattati nei murales degli artisti. L’idea iniziale, mi spiega Mario, sarebbe stata quella di rivalutare la città vecchia, ma per problematiche legate al patrimonio archeologico e alla necessità di una soprintendenza che lo  tutelasse, sarebbe stato molto più difficoltoso realizzarla. Poi come un colpo di genio, è venuto in mente il Quartiere di Paolo VI e le case bianche che per chi conosce la città sa che sono un luogo che ha da raccontare tante storie diverse. Quando abbiamo discusso di questa scelta, Mario mi ha fatto riflettere molto con una frase che secondo me è di grande impatto e fa pensare sul bisogno della “street art” in luoghi come questo:

“Il quartiere di Paolo Sesto è conosciuto per le Case Bianche e noi volevamo darle un colore”.

Per chi non conosce le case bianche sono le case popolari che “abitano” il quartiere di Paolo VI, considerato un quartiere chiuso a causa della sua distanza dal centro della città… Tra tutte le realtà presenti nel quartiere, un grande contenitore di diversità, sicuramente ce ne sono tante con  situazioni  complesse e critiche dovute anche alla mancanza di stimoli in  un quartiere  in cui la chiesa Santa Maria del Galeso dei Missionari è uno dei pochi centri sociali. 

  Alice Pasquini, 2020, Progetto Trust

La realtà del quartiere è sicuramente stata uno spunto per i i temi trattati nella collezione a cielo aperto, su tutti quello dell’identità. Identità di chi  vive questo quartiere e l’interesse soprattutto per il ruolo delle donne e dei bambini. Gli artisti di fama internazionale che hanno partecipato a questo progetto sono: Tony Gallo, Alice Pasquini, Uno, Checko’s Art, Dimitri Taxis, Cheone. Rappresentano  un nuovo inizio per la città di Taranto che sicuramente vivrà una seconda edizione di questo spettacolo allargato con nuovi progetti e laboratori sociali. Le mie ultime domande le ho rivolte all’artista Alice Pasquini che ho avuto la possibilità di incontrare in un seminario il 31 Aprile del 2021, organizzato dalla professoressa Rossana Buono, docente di Arti visive presso l’università di Roma Tor Vergata, quella in cui studio.  La mia domanda è stata: considerando che la street art può essere defiimìnita un genere anticonformista e che esce dagli schemi dell’arte “tradizionale”, che cosa ha scatenato nei residenti,  nei giovani e  negli anziani? È piaciuto come progetto oppure si sono opposti? Ecco le parole di Alice Pasquini che mi hanno reso orgogliosa della mia comunità:

«Il progetto è piaciuto, sono stata supportata dai residenti con il caffè offerto nelle loro case durante le pause dal mio lavoro e soprattutto dai bambini che con gioia e curiosità erano sempre sotto il mio braccio meccanico (utile per arrivare a dipingere sulle facciate dei palazzi)».

Per concludere voglio fare una mia breve considerazione su quello che ho riportato e su cui spero di continuare a scrivere in futuro; l’arte è anche questo, l’arte è creare un legame con sconosciuti, l’arte è provare a raccontare delle storie che faranno sentire compresi persone da tutto il mondo, l’arte è bellezza e non solo, l’arte è concetto, l’arte è un pensiero e soprattutto come in questo caso creatrice di un nuovo volto, il volto delle case bianche che per fortuna non saranno più bianche! 

T.R.U.st - Street art e rigenerazione urbana al Paolo VI di Taranto
  O Taxis, 2020

                                                                         


1. E. Castelnuovo, I. Bagnamini, Arte e società, Enciclopedia delle scienze sociali, La Treccani, 1990,: https://www.treccani.it/enciclopedia/arte-e-societa_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29/

2. https://www.marcovallarino.it/street-art/

3. Ivi.

4. Blu è uno street artist italiano di cui oggi non si conosce la reale identità. Attivo da fine anni Novanta, grazie ad uno stile ben riconoscibile ed alle sue metafore di denuncia, l’artista Blu oggi è considerato come uno degli street artist più conosciuti ed influenti in circolazione.

Francesca Cavallo

Classe ‘99, originaria della Puglia, studentessa di Progettazione e Gestione dei sistemi turistici.

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