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I fatti della settimana

LE BOMBE SUL TEATRO DI MARIUPOL

Quello di Mariupol era un teatro di arte drammatica e se i russi non avessero invaso l’Ucraina, lo sarebbe stato per molto altro tempo. Per migliaia di madri e di padri quello sembrava il posto più sicuro in cui nascondere se stessi e i propri figli, ma in guerra nessun posto e nessuna convinzione sono davvero al sicuro. Lo scorso 16 marzo il teatro è stato centrato e smembrato da una bomba russa, l’ennesima caduta sulla città di Mariupol ormai rasa al suolo quasi del tutto. Tutti i civili nascosti all’interno del teatro si sono salvati, a patto che per salvezza si intenda dover cercare un altro posto in cui nascondersi dalle bombe, dalle esplosioni, dalla morte. Mariupol, “la città di Maria”, è diventata la città-martire di questo conflitto; dopo la distruzione dell’ospedale pediatrico e del teatro, il messaggio è chiaro: Mariupol deve crollare per far crollare tutti gli ucraini. La popolazione è stremata; da giorni si vive senza acqua, senza corrente e con pochissimo cibo. La città è diventata una trappola mortale per tutti coloro che non sono riusciti ad andare via prima. Adesso nessuno entra e nessuno esce. Se la bestialità avesse delle qualità, la prima sarebbe la codardia. È da codardi attaccare i civili; è da codardi ammazzare i bambini. È bestiale parlare di guerra nel 2022.

LA STRAGE DEI BAMBINI

I bambini che questa guerra ha ucciso sono più di cento ma il numero è destinato ad aumentare. C’è chi pensa a loro come ad angeli che ora proteggono l’Ucraina dalle nuvole; chi li vede come martiri di un popolo che rinascerà partendo dal loro ricordo; ci sono madri e padri che li vorrebbero solo stringere al petto per un’ultima, dolcissima volta. Lo scorso venerdì l’elegante piazza di Leopoli si è riempita di 109 passeggini tutti colorati, uno per ogni bambino portato via dalla guerra. I bambini in Ucraina muoiono sotto i bombardamenti, muoiono per la fame e per la disidratazione, muoiono prima di nascere. Hanno fatto il giro del mondo le immagini della giovane mamma che si sfiora il pancione mentre viene portata via di corsa da quel che resta dell’ospedale di Mariupol bombardato. Quella mamma e il suo bambino non ce l’hanno fatta perché forse in guerra anche il ventre materno non è un posto sicuro. La malvagità della guerra non morirà quando le città saranno ricostruite, continuerà a vivere negli occhi e nei sogni di quei bambini che seguono in silenzio i genitori oltre il confine. Sono occhi stanchi e disillusi; sono occhi che hanno scoperto troppo presto che quando gli adulti sono arrabbiati sparano e uccidono.

IL CORAGGIO DEI DISSIDENTI RUSSI

Marina Ovsjannikova è una giornalista russa; il nuovo volto nella lista nera del Cremlino è il suo. Dopo essere stata per anni un’anonima pedina nella guerra dell’informazione russa, ha deciso di schierarsi apertamente contro Putin e contro quella guerra maledetta. Ha interrotto le trasmissioni dell’emittente per cui lavorava entrando in studio con un cartello su cui, tra le altre, due parole campeggiavano a caratteri cubitali: “NO WAR”. Chi si schiera contro Putin però muore, e questo Marina lo sa; sa anche che potrebbe accadere da un momento all’altro e che potrebbe essere fatto passare per un “incidente” ma lei si definisce una patriota. Dopo l’arresto ha rifiutato di lasciare la Russia nonostante attorno a lei si sia innalzato un cerchio di fuoco. È stata lasciata sola dai colleghi e dalla sua famiglia. Nessuno si avvicina più a lei, tutti la giudicano e la condannano da lontano. Ogni gesto, ogni sospiro, ogni cenno del capo potrebbe essere interpretato come un segno di dissenso verso quella che in Russia non può neanche essere chiamata guerra. Perché in questo mondo capovolto, la guerra è responsabilità di chi la denuncia, non di chi la scatena.

Francesca Antelmi

21 anni, pugliese, studentessa di Lettere Moderne a Lecce.

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