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Sono giunte le idi di ottobre e sono ormai iniziati i corsi universitari, ma uno su tutti fa sempre grande notizia: Medicina e Odontoiatria. Il test si è svolto nei primi giorni di settembre e da lì ad ora se ne sono dette (e se ne diranno) di tutte a riguardo. La premessa è ragionare senza lasciarsi sopraffare da sentimentalismi che portano inutilmente a parlare di “vocazione” e affini, per poi proporre la soluzione quanto più fedele alla Ragione stessa “imparando dai racconti dei vecchi seduti intorno al fuoco”, riecheggiando a Lord Bean che- giustamente- suggeriva di trarre conoscenza dalle persone giuste e con esperienza. Chi sarebbe più adatto di chi il test l’ha affrontato e vive soprattutto l’Università di Medicina e Chirurgia? Sì, tra questi è inclusa anche la categoria dei professori.

Nozioni di base utili: il test prevede domande di chimica, biologia, logica, cultura generale, matematica e fisica (non in uguale distruzione); ogni risposta esatta assegna un punto e mezzo,  risposta non data zero punti e sbagliata sottrae quattro decimi di un punto; con un punteggio maggiore o uguale a venti punti si accede alla graduatoria da idonei, ma solo i vincitori (coloro con il punteggio più alto) hanno diritto di immatricolarsi. Da notare che i posti disponibili sono circa dieci migliaia a fronte di un numero di iscritti al test circa dieci volte superiore.

Ogni anno quasi esclusivamente durante il periodo del test (il che potrebbe portare a teoria meno o più complottistiche) si arma infuriato l’esercito di chi vuole abolire il test che quest’anno annovera tra i suoi ranghi alcuni esponenti politici che condividono idee bizzarre di molti ragazzi e genitori degli stessi (giustificabili in parte perché molto spesso amareggiati per l’insuccesso). Ci si appella all’articolo 3 della Costituzione Italiana leggendolo con un occhio chiuso e l’altro pure interpretandolo in modo astruso come se fosse un discorso di chi legge i tarocchi. Ma fortunatamente così non è ed il test fortunatamente permane. Perché proibire a dei ragazzi di frequentare il corso di studi che più desiderano? Semplicemente perché le strutture didattiche- nelle quali è di fondamentale importanza includere laboratori ed ospedali- non sono omologate per una popolazione studentesca così folta. Immaginate un’aula universitaria per cento persone in cui però ce ne sono almeno il doppio? O svolgere il tirocinio in ospedale? Magari con un paziente che si vede misurare la pressione più di venti volte di seguito. Miriadi di studenti alle sessioni d’esame con orali che si protrarrebbero per più di una settimana? E magari essere bocciati subito per una risposta poco corretta (e non sbagliata) dal professore che vuole snellire vigorosamente i tempi? Tanti non riescono a immaginarlo, ma tale trattazione e la Ragione possono stimolare a raffigurare la lontana immagine.

Ma spegnendo la ragione ecco la proposta sentimentalista di altri: metodo alla francese.  Coloro che giustamente ammettono che il test (N.B. : esso è uno strumento valutativo che può essere praticato in diverse forme quali valutazioni scritte, orali, ecc. , dunque il test non è il classico quiz come dai molti inteso) sia imprescindibile si propongono di modificarlo volendo adottare il metodo dei campioni del mondo che consiste in una valutazione in cui le discriminanti sono il numero di esami e votazione conseguita. Nella pratica cosa succede? Un ragazzo può essere escluso dopo due anni di corso a fronte del non essere ammesso qui in Italia:  meglio l’uovo oggi o un vermiciattolo domani? Chiaramente chi difende tale teoria afferma che studiando si ha accesso, ma non è lo stesso che succede oggi giorno? Costoro non pensano che l’attuale test sia il più anonimo possibile (sul plico non c’è scritto “Mario Rossi”, ma una serie di numeri randomizzati), mentre con il metodo alla francese- che prevede valutazione tramite esami che molto spesso sono costituiti da una prova orale- aumenterebbe esponenzialmente la corruzione e/o i favoritismi? (Con una valutazione orale “il figlio di” o chicchessia sarebbe riconosciuto in viso e sulla carta d’identità). Penso di no e non a caso la Francia ha vinto i mondiali, l’Italia non vi si è qualificata, ma a prescindere da quest’ultimo fattore preso in analisi, negare ad uno studente il frequentare un corso di studi dopo due anni di frequenza anziché negarlo all’incipit è assai più deplorevole. La matematica parla chiaro: 2>0. Per non parlare di chi- fin troppo a cuor leggero ed in mano- afferma che così (frequenza di due anni) si avrebbe a che fare con materie di indirizzo medico quando in realtà in quegli anni di prettamente medico c’è poco ed essi sono popolati da esami che gettano le basi per quelli degli anni a venire.

Ma quindi? Test o non test? Certamente test e mantenendone questa modalità per tutte le ragioni precedentemente manifestate, ma ciò non esclude il fatto che vada migliorato il sistema del test stesso e i suoi post soprattutto. Esso prevede una spasmodica attesa da parte degli studenti, la quale garantisce ad associazioni e vari addetti del settore di lucrare su previsioni del punteggio, spiegazioni su quanto già esplicato nel bando e ad avvocati su ricorsi vari (ed improbabili). Eppure i tempi d’attesa sarebbero facilmente abbattibili in quanto esso è corretto da un visore ottico e non dall’uomo. Discorso di snellimento analogo può essere attuato per la graduatoria che con un semplice algoritmo potrebbe essere aggiornata di giorno in giorno (ci basta questo senza nessuna pretesa di in real time).

Le proposte più note a parere degli addetti ai lavori risultano dunque poco valide, non tiene neanche la falsa giustificazione della carenza di personale medico (colmabile con un aumento del numero delle borse di studio di specializzazione e non con un aumento del numero degli studenti universitari ad un corso di laurea) che come tutto ciò che gira attorno a questo discorso si spegnerà in un fuoco di paglia per riaccendersi tra qualche mese con i soliti discorsi.

Giuseppe Candita

 

 

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