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Fare schifo (è quasi un dovere morale)

Fare schifo è il singolo (in collaborazione con Michela Giraud) che anticipa l’uscita di Pornostalgia, il nuovo album di Willie Peyote. Il brano si adegua ad una riflessione circa il tanto discusso impatto che i social stanno avendo sulle nostre vite.

Sembriamo tutti sperimentare di tanto in tanto un’insofferenza verso i social al punto da avvertire l’impellente necessità di distaccarcene per un attimo (abbiamo addirittura coniato una nuova espressione dall’utilizzo ormai diffuso: “pausa social”).

Intratteniamo con essi una relazione altalenante: alle volte vorremmo scomparire da ogni piattaforma e tornare alla vita vera (quella che percepiamo come costantemente minacciata dall’evanescente realtà virtuale), altre volte invece ci rendiamo conto di non poterne fare a meno (in tempi recenti è stato coniato l’acronimo FOMO che sta per «fear of missing out», ovvero la paura di essere tagliati fuori).

Come per ogni altro cambiamento socio-antropologico, sperimentiamo sulla nostra pelle le conseguenze di una massiccia presenza on-line eppure fatichiamo ad individuare le cause del malessere che quest’ultima ci provoca. Sarà che abbiamo smesso di farci domande? Non ho le competenze per indagare approfonditamente le ragioni per cui i social ci risultano sempre più ostili, ma posso avanzare delle personalissime ipotesi che articolerò intorno a due temi chiave: velocità e competizione.

Il mondo dei social, in obbedienza alle dinamiche capitalistiche, corre veloce: con un’ingenuità che strappa un sorriso abbiamo creduto di riuscire a tenerne il passo. Siamo in presenza di meccanismi di informazione rapidissimi: le nostre home traboccano di notizie, citazioni cinematografiche, consigli di lettura, riflessioni ecc. eppure, in mezzo a tanta scelta, non scegliamo (paralisi della scelta). In preda ad un delirio di onnipotenza fagocitiamo informazioni su informazioni con il proposito di approfondirle tutte, in seguito. Lo facciamo? Assai raramente dal momento che è sempre presente carne fresca a rimpiazzo di quel che avremmo dovuto approfondire.

È ancora possibile un’inversione di tendenza? Sì, dovremmo solo reimparare l’arte della lentezza. Sottrarsi all’inganno del “tutto e subito” significa ricordare che la conoscenza richiede approfondimento quindi, inevitabilmente, impiego di tempo ed energie nella misura in cui ciascuno lo ritiene più opportuno.

Quanto appena detto sembra stridere con il ragionamento che ha portato alla nascita dei social (e alla configurazione delle rispettive applicazioni), che sono stati di fatto pensati come dispositivi di intrattenimento. Ciò significa che lo scorrimento di una home non viene percepita un’attività al pari della lettura di un articolo o di un libro, bensì un momento di pausa intercalato ad attività che richiedono un maggior dispendio energetico. Sorge spontaneo chiedersi se il pregevole lavoro svolto da molte pagine presenti su queste piattaforme risulti “sprecato” per una fruizione quasi sempre superficiale. La risposta che sento di poter dare è un no. La soluzione non va ricercata nella rinuncia da parte di questi creatori a condividere contenuti di un certo spessore, ma in un diverso approccio ad essi da parte dei fruitori: sebbene le stesse interfacce spingano verso nuovi post, noi utenti potremmo sforzarci di sostare – ed ecco che ritorna l’arte della lentezza – su quello che ha catturato la nostra attenzione in modo da disporne con la stessa attenzione che dedicheremmo alla lettura di un articolo, di un libro o alla visione di un documentario.

Veniamo al secondo tema. La competizione ragiona in termini di quantità, velocità e qualità: c’è chi fa di più rispetto a noi, chi più velocemente, chi meglio e chi tutte e tre contemporaneamente.

Non posso avanzare ipotesi sulla mancata genuinità dell’esempio dei creatori di contenuti (in quanto creatori, condividiamo o mettiamo in mostra qualcosa di noi?) ma, d’altro canto, posso affermare con assoluta certezza che ognuno di noi, da fruitore, è spesso tormentato dalla competizione (non me ne vogliano i seguaci di qualunque teoria circa il raggiungimento della serenità interiore). Guardiamo ai divoratori seriali di libri e “ci facciamo schifo” nel momento in cui ricordiamo di averne letto solo uno – quando va bene – nell’ultimo mese. Se già sopportare il peso del confronto in passato con una platea relativamente ristretta di concorrenti era difficile, ora è intollerabile.

Vengono allora in nostro soccorso Willie Peyote e Michela Giraud dicendoci: «In un’epoca in cui tutti vogliamo essere migliori e tutti siamo prigionieri dello sguardo degli altri, darci la possibilità di fare schifo è un atto rivoluzionario».

Sarah Guarino

Sarah Guarino, classe ‘99, vive a Francavilla Fontana. Attualmente studia Lettere Moderne all’Unisalento.

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