Attualità

La guerra della disinformazione

Il 28 gennaio il ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa Sergey Lavrov rassicurava il mondo sul fatto che la Russia non voleva in alcun modo intraprendere una guerra contro l’Ucraina. Un mese più tardi i palazzi ucraini crollavano sotto le bombe lanciate dai russi; e poi le fughe nei bunker, le sirene che suonano in piena notte e le armi distribuite ai civili in città. Il mondo, forse distrattamente, stava osservando il volto di una guerra che comincia.

Confermato il fallimento dell’auspicata “azione lampo”, il presidente russo Putin si è scontrato con l’esigenza di tenere appiccicati a sé gli occhi e le orecchie del suo popolo. Una sola voce, una sola opinione, una sola versione dei fatti. La prospettiva di una guerra più lunga del previsto ha reso necessario l’appoggio totale della popolazione, anche a costo di arresti sommari e azioni di violenza pubblica.

La Russia di Putin non ha mai potuto vantare un’informazione pienamente autonoma e un giornalismo realmente libero, fatta eccezione per i casi dei dissidenti scappati oltre il confine o reclusi in patria. Tuttavia l’ondata di misure repressive, attuate subito dopo l’attacco in Ucraina, non ha precedenti. Un apparato dell’informazione fragile come quello russo, già piegato dal pesante giogo della censura, è apparso agli occhi del Cremlino lo strumento perfetto per modellare la realtà dei fatti e per adattarla alle esigenze del regime.

Sono decine di migliaia i civili arrestati per aver preso parte a manifestazioni di piazza (vietate in Russia secondo una legge non scritta) o anche per aver espresso il loro dissenso deponendo fiori nei pressi dell’ambasciate ucraina a Mosca. Si tratta di gente che non solo sarà sottoposta a processo, ma che sarà probabilmente licenziata e additata come traditrice per lungo tempo.

La minaccia di condanne fino a quindici anni di reclusione ha spinto le principali emittenti, europee e non, a ritirare corrispondenti e inviati; mentre la rete di dissidenti in esilio si adopera per far entrare in Russia un’informazione pulita e attendibile, i più importanti social network si sono ritirati dalla patria di Putin. Si staglia pericolosamente all’orizzonte uno scenario in cui i social non avranno più base globale, bensì nazionale. Ogni nazione di fatto potrà selezionare i contenuti da nascondere agli utenti, scegliendo al contempo quelli attraverso i quali indottrinarli.

Francesca Antelmi

21 anni, pugliese, studentessa di Lettere Moderne a Lecce.

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