Immigrazione,  Politica,  Territorio

Perché gli immigrati sì e gli Italiani no?

 

 

Due giorni dopo il terremoto che ha devastato il Centro Italia e che ha provocato 292 vittime ho preso la macchina e mi sono recato a Campomarino, località balneare di Maruggio (TA). Qui il 26 Agosto si è svolta la prima serata di un Festival, Qcine, che unisce il cinema al cibo, organizzato da Bunker Lab col patrocinio del comune di Maruggio. In pratica vi è la visione di un film in cui compare un piatto che dopo è cucinato e proposto agli spettatori. In particolare il piatto cucinato era un dolce libanese, il Baklavà assieme alla bevanda del benessere, il Karkadè. Prima della visione del film però il palco del Festival ha avuto come protagonisti i ragazzi degli SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che hanno raccontato un po’ le loro storie aiutati da un mediatore linguistico.

Quella sera è stato proiettato il film “E ora dove andiamo?” di Nadine Antoine Labaki che, oltre ad aver scritto la sceneggiatura, ha anche recitato nel film. La storia racconta la vita di una paesino libanese in cui convivono cristiani e mussulmani: all’inizio l’equilibrio tra le parti, poi la lotta e infine la riappacificazione.

Inizia il film e tra una scena e l’altra i personaggi intonano una canzone francese che nei sottotitoli recita: “O forse c’è una nuova strada che fin ora abbiamo ignorato?

Il terremoto, gli uomini che cercano riparo in Italia, la frase nel film: come si collegano queste cose? C’è un bisogno di umanità.

Nei giorni successivi al terremoto ho visto e sentito persone lamentarsi e chiedere a voce alta sui social un luogo in cui ospitare i terremotati:” perché gli immigrati sì e gli Italiani no?”. Innanzitutto dobbiamo fare lo sforzo di ricordare che non ci sono due categorie; c’è solo l’essere umano. Perciò non esiste, ma purtroppo nei fatti per molti c’è, una classifica universale del dolore, il dolore dell’uomo che scappa da una guerra e dell’uomo che al suo risveglio non ha più nulla sono identici; la guerra come il terremoto. C’è un bisogno di umanità.

Quei ragazzi dello SPRAR sono scappati da bombe, fame, sete. Sono arrivati qui in Italia per cercare riparo e noi abbiamo l’obbligo morale di accoglierli perché sono i nostri fratelli e i nostri genitori. Se la morale non è d’aiuto, la legge lo è. Infatti l’Italia è obbligata dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati ad accogliere chi è perseguitato senza operare discriminazioni riguardo alla razza, alla religione o al paese d’origine. C’è un bisogno di umanità.

“O forse c’è una nuova strada che fin ora abbiamo ignorato?” cantavano nel film di Labaki. E’ arrivato il momento di avere coraggio. Se un personaggio pubblico incita i disoccupati, chi non ha i soldi per curarsi, chi è costretto a rinunciare ai propri diritti pur di lavorare o chi non riesce a pagare il mutuo della casa ad accusare gli immigrati come responsabili della propria situazione, è disonesto. La responsabilità di tutto ciò è la politica, non l’Eritreo che scappa dalla guerra nel suo Paese. La persone disonesta di cui parlavo prima scarica la sua responsabilità tra i migliaia di frammenti di odio che nascano tra persone disperate.

Noi invece dobbiamo ritrovare la nostra umanità, senza noi e senza loro. Umanità e responsabilità politica.

Francesco Caiazzo

Roberta Muri

23 anni, pugliese, studentessa di Economia a Verona.

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *