Arti visive

Xavier Dolan: Amare da morire

“Si ama la propria madre quasi senza saperlo, e non ci si accorge della profondità delle radici di questo amore se non al momento della separazione definitiva”. Con questa citazione di Guy de Maupassant, in apertura di J’ai tuè ma mère, veniamo scaraventati nell’universo narrativo (e in gran parte autobiografico per questo film) dell’enfant prodige Xavier Dolan. Il film, scritto, diretto, interpretato e prodotto dal regista appena ventenne nel 2009, è il suo esordio. Il protagonista è il sedicenne omosessuale Hubert, cresciuto dalla sola madre, che è costantemente colpevolizzata per non averlo amato abbastanza, oltre che all’oscuro dell’identità sessuale del figlio.

“Don’t make me sad, don’t make me cry/Sometimes love’s not enough when the road gets tough […]/Choose your last words/This is the last time/Cause you and I, we were born to die”.[1]
Stavolta siamo davanti ad un tipo completamente differente di citazione. Questi versi si trovano nella canzone Born to die, dell’artista Lana del Rey. Il film in cui li ritroviamo è Mommy, sempre del canadese Dolan, del 2014 e vincitore ex-aequo con il regista per eccellenza Jean-Luc Godard del premio della giuria alla 67a edizione del Festival di Cannes.

Cattura

Madre single e ancora di bell’aspetto, Diane ha un carattere aggressivo e scarsa capacità di autocontrollo. Suo figlio, Steve, ha ereditato le stesse caratteristiche della madre, esasperate però da un deficit comportamentale, l’iperattività. Quest’ultima infatti sarà ciò che renderà impossibile a Diane accudire il proprio figlio senza l’intervento di istituti di recupero per ragazzi problematici.

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J’ai tuè ma mère, Xavier Dolan, Canada, 2009

A legare questi due film, oltre che le ben evidenti doti registiche di Dolan, è in primis il rapporto odi et amo con la figura materna. Sarebbero potuti diventare prevedibili, ruffiani o angoscianti, invece ciò non accade nemmeno per un minuto. Nonostante le punte drammatiche raggiunte, i film hanno un sentimento vitalistico di base: da un lato la vita di Hubert appare piena di colori (sia in senso letterale che figurato), resi vivi dall’arte e dal suo fidanzato, dall’altro Steve diventa emblema di libertà e reazione, quasi un simbolo (e una scusa) dell’automiglioramento per gli altri personaggi.

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Mommy, Xavier Dolan, Canada, Francia, 2014

E se in J’ai tué ma mère l’eterno legame tra amore e morte è chiaro sin dall’inizio, in Mommy questo sentimento si insinua lentamente tra le pieghe del film e del nostro tempo, prima veniamo travolti dagli impulsi incontrollabili di Steve e poi siamo risucchiati da questi ultimi, in un formato dell’inquadratura 1:1 che lascia spazio ad un solo personaggio (che spesso risulterà essere Steve stesso). Per un momento l’inquadratura si allarga, per mano dello stesso Steve, donandoci l’illusione di poter entrare nella sua vita. Questo però significherebbe controllarla in un certo senso e ovviamente non può accadere. Infatti l’angusto 1:1 ritornerà impertinente, per riportarci allo schema visivo più adatto alla storia raccontata.
In una linea di continuità lunga cinque anni, questi film sembrano tenere una conversazione segreta e sospesa, in cui l’amore per la figura materna deve necessariamente esplodere in qualcos’altro, perché troppo grande per essere contenuto nei limiti di un solo sentimento. E allora ecco in fila la passione, la rabbia, il risentimento, la dolcezza, la violenza. In due sole parole l’amore e l’odio, che tanto caratterizzano il modo di rapportarci, nell’età dell’adolescenza, a quell’unica donna capace di amore incondizionato nei nostri confronti. In grado di amare nonostante tutto.
Dolan ha imparato bene la lezione della Nouvelle Vague e di Godard in particolare. Tra il dolore e il nulla, meglio scegliere il nulla, meglio la morte, perché il dolore è solo un compromesso. E così li mette in scena, buttandoci in faccia quegli errori tecnici che vengono sovrastati da un racconto senza freni, senza mezzi termini e senza bugie. Ci regala un pezzo di verità e purezza. O almeno un pezzo della sua verità e della sua purezza. Ci regala, in sostanza, due film che sono due opere preziose di un regista ancora giovanissimo che promette la visione, anche futura, di qualcosa di diverso dal resto.


[1] “Non rendermi triste, non farmi piangere/A volte l’amore non basta quando la strada diventa difficile […]/Scegli le tue ultime parole/Questa è l’ultima volta/Perché tu ed io siamo nati per morire”

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