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La storia di molti

Sono solo il suo coinquilino. Sono il coinquilino di Cosimo, vivo con lui da poco più di un anno e, insomma, insomma, sono entrato in casa, mi aveva detto che non sarebbe uscito…aveva detto così. Ho provato a chiamarlo e niente, poi ho bussato e infine ho deciso di entrare. Non c’era, non so dov’è, ve lo giuro! C’erano dei fogli a terra scarabocchiati e la sedia era strapiena di vestiti. Sulla scrivania ho trovato questo foglio, ecco, prendetelo. Io non lo so dov’è.

(Il coinquilino è nervoso e il suo testimoniare è un intreccio di balbuzie e parole strascicate.)

Ciao. Se nessuno voleva farlo, ho deciso di raccontare io questa Storia.

E ’un nodo in gola, è un blocco alla bocca dello stomaco. E’ una giornata come tutte le altre. Ti svegli con la faccia stanca e le linee sul viso sono i graffi dei mostri che combatti negli incubi. Il letto è il campo di battaglia e le coperte disfatte sono gli amici caduti prima di te e che tu non sei riuscito a salvare. I cuscini sparpagliati e di diverse sfumature, di cui alcuni stesi sul pavimento ti riecheggiano gli scudi di ferro sporchi di terra e sangue. Dormi solo, circondato da cuscini come se aspettassi qualcuno, qualcuno che bussi alla tua porta, e senza risposta, di soppiatto entri in camera e si poggia vicino te. Sono le persone che hai lasciato e lasci per strada. Eppure te lo aveva detto quel tuo amico, sì, me lo ricordo: “Se tu stai bene, anch’io”.

Stare stare, è coinvolgente: stare sulle cose, non perderti mai – tieni tutto.

E adesso che vorresti dirgli che ti stai rialzando, non puoi perché non c’è. Nella notte hai combattuto per te e per gli altri, è vero: hai un Ego spropositato, ma perché ha inglobato tutti: è un Noi. Il Bene ti corteggia con delle banali e luccicanti storie finite bene, ti dice di guardare al futuro e non al presente. Il Male, invece, ti morde le caviglie, vuole farti crollare perché tu possa vedere da terra, come i vermi, quanto è difficile alzare la testa e tenere le spalle dritte e ferme davanti lo schifo. Il Male non ti corteggia, ti ammazza e ti dice: “Guarda il passato, guarda quanto è fermo, non camminare, – sei stanco – fermati anche tu a riposare”. C’hai graffi sulla faccia perché sei scappato, e ora hai scoperto che quegli archi laceranti la pelle sono strade che ti daranno la via da seguire, la rotta da solcare con altre strisce di carne sbrindellata: il Male, il dolore, la rabbia, l’odio tifa cambiare, tiene il suo fiato sul tuo collo finché non sei capace di cambiare strade e correre più veloce.

In realtà è ancora mattina e sei sotto il flusso dell’acqua, la puoi toccare e toccarti il viso. Le molecole si legano con corde di idrogeno che si sfilettano, ma alla fine resta una trama del tessuto, un flusso unico che puoi abbracciare diversamente dalle informazioni sull’acquisto, i dettagli dell’ordine, il numero di tracking del pacco, il codice a barra, le cifre dell’iban e della tua postepay, la targa dell’auto, il numero di matricola e il codice fiscale: no, l’acqua scorre e ti confonde le lacrime che scendono a dirotto e neanche te ne accorgi: le cose si tengono quando si toccano con mano,la benzina della vita è l’amore del guardarsi negli occhi. Il pranzo passa  e neanche te ne accorgi e il tempo passa e neanche te ne accorgi. Sul bus, sul tram, sulla metro corri per andare dove? Corri per andare a casa. Te lo ripeti ogni giorno: prendo la bici per andare da Roma a Taranto. Ma quello è l’intercity e a te non frega un cazzo del percorso, dell’inter-, del mentre.Comunque il paesaggio è spettacolare, le tutte diverse stazioni ferroviarie, le campagne e le persone piene di vita nel treno: ma Latina, Napoli, Salerno, Potenza, Metaponto non fanno storia quando a te interessa la fine. Che poi è l’inizio: dove hai perso il sangue dalle ginocchia da bambino e hai frantumato il primo specchietto dell’auto. Questa storia ti fa agitare, ti fa pensare a cosa è successo. Tutte le volte che torni e vai e rivai e ritorni: oscilli tra due ponti come un pendolo schizzato, ma non hai velocità perché non hai percorso spazio: velocità è spazio diviso per il tempo e il tuo spazio è una somma algebrica che fa sempre zero: sei fermo. Ma sai cos’è? Dove cazzo avranno da correre tutti? A te piace stare fermo, almeno stai e non scompari: che poi non è come essere, ma qualcosa è.

Rosso,verde, giallo, rosso, verde, giallo; il semaforo smette di essere il regolatore del traffico urbano e comincia a essere quello del tuo stato emotivo. Il fumo della sigaretta crea spazi che non ci sono: immagini la tua campagna. Ti ricordi la strada di brecciolina dove facevi le corse? E quei mille palloni battezzati dall’albero di fichi d’India che con le sue spine sgonfiava tutto,anche la tua voglia di giocare? E quei bastardi cani che ti correvano dietro la bici, chissà dove sono.

Il vento arriva ed è freddo, la ragione non conosce il linguaggio del cuore, la mente non vuole sporcarsi le mani col sangue: il vento spazza via tutto. Allora apri la finestra, rientri in camera e attraversi il salone, esci dalla porta d’ingresso e cazzo è un condominio (cinque piani): scendi le scale a quattro a quattro, esci dalla porta d’ingresso, esci dal cancello del cortile (sono le matrioska) e sei in strada: ma la campagna fumosa chissà dov’è.

Lo sai che devi stare calmo: vorresti dare una mano, una mano che ha assorbito l’energia cinetica e passionale di tante, ora è in convulsione e la frenesia ti fa battere i pugni sulla scrivania, e sui muri. Allora inizi con la condizionale.Vorresti la tua terra rossa – non rossa per il sangue. Gli scogli della spiaggia, c’hai ragione, sarebbero un’altra cosa senza il catrame nero appiccicato sopra, e le campagne allora? Che bello sarebbe senza frigoriferi anni ’90 e le televisioni bombate? I politici si potrebbero interessare di politica, sì quella bella: la responsabilità condivisa e le elezioni senza tornaconti. E i ricercatori potrebbero non andarsene negli Stati Uniti, e le persone sopravvivrebbero di campagna, no scusa, ci vivrebbero. E i ragazzi fuori sede con un colpo di magia tornare in. In, in, dentro, in casa, in sede,non fuori, fuori de che? Di testa, ma voi, voi miopi che propagandate le miserie. E la mafia potrebbe, e la corruzione anche, e la concussione, l’abuso di ufficio, l’inquinamento ambientale, e potrebbe, dovrebbe, sarebbe. Sbuffa sì, liberati.

Lo so che le spalle ti pesano dalla mole di tutta questa roba. Ma il condizionale l’ho usato perché, già, una condizione per realizzarlo c’è: credi e lavora. Gli altri hanno mollato? Credi e lavora. Del resto, l’ho scritta per te questa storia.Ora avrai più spazio nel tuo corpo per legare tutto e tenerlo insieme dentro dite.

La storia di molti.

                                                                         

Francesco Caiazzo

Studente di Storia, Università di Bologna, Pugliese.

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