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Cultura sotto attacco: vivere il Sapere durante una pandemia globale

Il 2020 è stato un anno incongruo, per alcuni scarso di valore e privo di momenti significativi a confronto con quelli trascorsi; la sicurezza che si ha di questo fine decennio può essere racchiusa da una sola parola o meglio da un aggettivo: “destabilizzante”. Infatti, Il 2020 ha fatto emergere la fragilità di ogni società colpita da questo nemico invisibile. Quello culturale è stato uno dei maggiori settori che ha subito perdite e il bombardamento ha colpito il carattere che più contraddistingue l’Italia dal resto del mondo: il turismo.

Si è parlato di “fase della convivenza con il covid-19”, ma il problema alla base con il settore culturale è la passività del nostro Stato nei suoi confronti; non ci sono stati forniti mezzi per tutelare un patrimonio che sarebbe banale definire unicamente come fonte di guadagno. Possiamo aggiungere, inoltre, che quelle poche strategie attuate nel loro piccolo dagli specialisti del settore culturale sono state avviate senza delle direttive che provenissero dal Governo, il quale è rimasto inerme alle continue sollecitazioni, che solo dopo quasi un anno dall’inizio della Pandemia ha iniziato a prendere in considerazione.

La situazione seppur drammatica prende delle sfaccettature diverse a seconda dell’aspetto che decidiamo di isolare e proverò ad elencarne i motivi.

Primo fra tutti è sicuramente il Turismo. Perché indicare il turismo come elemento del sapere? Sicuramente non esiste consapevolezza migliore dove poter concretizzare interazioni umane che permettono di avere delle crescite personali; la fase del nuovo turismo è definita esperienziale appositamente, il turista non cerca più svago e divertimento dai suoi soggiorni ma la sua autenticità nel mondo relazionandosi con esso.

La perdita dal punto di vista economico rispetto al 2019 è evidente. Il Policy Brief del 2020 riguardante le Nazioni Unite spiega come il turismo internazionale sia stato fortemente assoggettato, con la chiusura degli alberghi e il poco spostamento dei flussi turistici si è arrivati a una forte perdita economica a tal punto da essere considerata tre volte maggiore rispetto alla crisi globale avvenuta tra il 2008 e il 2009 con il crollo di Wall Street. Come se non bastasse oltre la chiusura delle piccole attività anche le organizzazioni culturali stanno subendo un grande periodo di difficoltà dovuto alla chiusura totale o parziale dei siti appartenenti al Patrimonio Globale, ai 85.000 musei chiusi in tutto al mondo insieme a teatri, cinema e biblioteche.

“L’impatto del COVID-19 sul turismo esercita ulteriori pressioni sulla conservazione del patrimonio nel settore culturale e sul tessuto culturale e sociale delle comunità, in particolare per le popolazioni indigene e i gruppi etnici. Ad esempio, con la chiusura dei mercati per gli aghi a mano, i prodotti e altri beni, le entrate delle donne indigene sono state particolarmente colpite. Molte pratiche immateriali del patrimonio culturale, come i festival tradizionali e i festival della Germania, sono state fermate o rinviate, con importanti conseguenze per la vita sociale e culturale delle comunità ovunque. Sono stati particolarmente colpiti coloro che lavorano nelle arti dello spettacolo e nell’artigianato tradizionale, comprese le comunità locali e indigene, che operano in gran parte nel settore del l’informazione.1

Sono numerosi le associazioni e i movimenti che cercano di dare il loro contributo sensibilizzando attraverso i loro canali di comunicazione e proponendo delle vie alternative per poter proteggere questo settore, che mai come ora è stato ben poco tutelato, tra questi vi è “Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali”.

In un periodo in cui siamo costretti a vivere segregati nelle nostre abitazioni, sarebbe stato opportuno poter viaggiare di immaginazione nelle situazioni in cui non sarebbe stato possibile rispettare le direttive per la sicurezza e in caso contrario cercare delle strategie che potessero davvero avviare una fase della coesistenza tra virus e cultura, che però deve essere vissuta attivamente.

Il piano è quello di stimolare la collettività, che vive una situazione alienante usufruendo dei vari mass media; opportuno potrebbe essere l’utilizzo di programmi televisivi che mostrino un lato delle città, a mio parere poetico, che si è scoperto solo a causa (e se pur potrebbe sembrare un ossimoro, può essere considerata una fortuna) della pandemia stessa. Questo permetterebbe di non perdere la concezione dell’immaginario, elemento base per vivere una esperienza turistica e che soprattutto fa accrescere l’interesse per una determinata destinazione.

Il prima citato movimento offre una considerazione molto importante che riguarda il servizio delle biblioteche:

“Sono stati forse i bibliotecari del Polesine, nel sud del Veneto, a esprimere con più chiarezza il problema. “Se la ratio su cui si basa il decreto è quella di vietare gli assembramenti e fare rimanere le persone nelle proprie abitazioni” scrivono in una lettera inviata al Governo e ai giornali “perché privarle di quel potente strumento di conoscenza che è il libro […] e arricchire la loro permanenza a casa?”. Nella lettera provano a illustrare anche alternative alla catastrofe che rischia di abbattersi sulle biblioteche dello Stivale e sulle comunità che a queste fanno riferimento. Il prestito in biblioteca – notano – non sembra molto diverso dai servizi “da asporto” nei ristoranti e nei bar, tranne per il fatto che le biblioteche sono servizi essenziali anche di fronte alla legge. Il cuore del ragionamento di queste bibliotecarie e bibliotecari è chiaro: le biblioteche sono servizi essenziali non solo per chi fa ricerca e chi studia, ma anche per i cittadini e per chi ha in questi luoghi una parte fondamentale della propria vita.2

È interessante questo parallelismo che vi è tra il servizio d’asporto considerato come primario poiché fonte di sostentamento e il libro che può essere considerato come nutrimento per il Sapere. Ma soprattutto è da sottolineare come l’uno non può essere considerato superiore all’altro.

Un altro ambiente che non è stato tutelato è sicuramente quello dei musei. La domanda che sorge spontanea è <<Può un museo offrire delle fruizioni alternative a quelle che pratica in tempi normali?>>; la risposta è <<Sì!>>. Organizzare delle installazioni all’aperto potrebbe essere un’idea, utilizzare la tecnologia per delle visite e delle experience virtuali un’altra ancora, come dare la possibilità a piccoli gruppi scaglionati per orari per poter comunque offrire una fruizione in presenza.

Per concludere, possiamo dire che la crisi medico sanitaria che stiamo vivendo dovrebbe essere motivo di trasformazione positiva per il mondo che dovrebbe imparare a stare al passo con le innovazioni e non farsi piegare dagli avvenimenti negativi ma trovare motivazione per affrontare le sfide che ogni giorno siamo costretti ad affrontare. Uno Stato non è nulla senza la sua forza produttiva, ma allo stesso modo non è nulla senza la cultura che lo contraddistingue. Come affermava a gran voce Claudio Abbado, grande orchestratore italiano:

“La cultura è un bene comune primario come l’acqua; i teatri le biblioteche i cinema sono come tanti acquedotti”.


1. United Nations, “On International Day, UN chief spotlights indigenous peoples’ resilience in face of COVID-19 pandemic”, 9 August 2020, available at https://news.un.org/en/story/2020/08/1069822.

2. https://www.miriconosci.it/biblioteche-e-musei-resistono-ai-dpcm/

Francesca Cavallo

Classe ‘99, originaria della Puglia, studentessa di Progettazione e Gestione dei sistemi turistici.

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