Le notti baresi di Dostoevskij
La stagione teatrale barese quest’anno ha, per quanto riguarda la prosa, un indiscusso protagonista: Fëdor Dostoevskij. Sono ben tre, infatti, le opere dell’autore russo riadattate e proposte per i palcoscenici di Bari e collocate in punti cruciali del programma – l’inizio della stagione è stato segnato da Il Sogno di un Uomo Ridicolo, con la regia e l’interpretazione straordinaria di Gabriele Lavia, la parte centrale dai Karamazov, frutto del lavoro della compagnia Vico Quarto Mazzini, e la parte conclusiva, infine, vedrà Luigi Lo Cascio e Sergio Rubini alle prese con Delitto/Castigo il 17 e 18 aprile al Teatro Petruzzelli.

L’adattamento di Lavia per Il Sogno di un Uomo Ridicolo è stato curato fin nei minimi particolari – un dettaglio indimenticabile è la profumatissima cannella che copriva l’intero palcoscenico – e caratterizzato da una vera e propria simbiosi con il testo dostoevskijano: pareva che la voce dei narratori nelle opere di Dostoevskij non potesse avere altro timbro che quello dell’attore milanese¹. Il testo era stato riproposto in forma di monologo, con il protagonista che, abbandonato da tutti, decide di porre fine alla sua vita, addormentandosi però davanti alla rivoltella ormai carica: sogna così un mondo ideale, non contaminato dal peccato e dove regna la solidarietà e la carità, un mondo che vive la sua utopia prima che essa venga devastata dalla diffusione del vizio. (Meravigliosa e struggente la “genealogia del peccato” proposta da Dostoevskij: tutto nasce da una piccola e innocente menzogna raccontata per scherzo, da essa viene alla luce il sospetto, che porta poi alla gelosia e poi ancora a numerose altre forme del Male, in una crescita vorticosa e fibonacciana).

Alla fedeltà quasi assoluta al testo dostoevskijano da parte di Lavia si contrappone la coraggiosa ma calzante riproposizione dei Fratelli Karamazov a cura della compagnia Vico Quarto Mazzini: l’ambientazione si sposta nello spazio e nel tempo, passando dalla Russia ottocentesca alla Bari Vecchia contemporanea, e i personaggi sono invecchiati di circa trentacinque anni dai tempi della narrazione di Fëdor Dostoevskij. È molto curioso come i cerimoniali tipici della Russia del passato si trasformino in maniera naturale e gradevole nei riti e nelle lungaggini tipiche delle chiacchierate pugliesi, diventando un espediente scenico di grande efficacia. I quattro attori protagonisti sono volti noti del teatro popolare pugliese: Nicola Pignataro, Pinuccio Sinisi, Dante Marmone e Tiziana Schiavarelli²; la regia è a cura di Michele Altamura e Gabriele Paolocà. Il cast definisce già quest’opera come un crocevia dove si incontrano gli amanti degli studi teatrali, quelli della commedia e quelli dei classici della letteratura mondiale: la grande ambizione di Karamazov è proprio quella di unire queste tre categorie.
Trentacinque anni dopo gli eventi raccontati nel romanzo, incontriamo di nuovo i fratelli Alex e Ivan accuditi da Grušenka, la quale attende il ritorno dal carcere del terzo fratello, l’amato Dimitri, accusato di aver commesso l’omicidio del padre. Alex, Ivan e la donna non conoscono ancora la verità sull’assassinio, o forse fanno finta di non ricordarla: motore del dramma è l’imminente morte del maggiordomo, che prima di spirare ha deciso di rivelare la verità sul crimine commesso tanti anni prima. Dimitri, quindi, fuggito dal carcere, decide di fare i conti con il proprio passato, replicando, questa volta nei panni dell’accusatore, l’inquisitoria del romanzo.
La storia si sviluppa su due piani perfettamente intersecati, quello tragico e quello comico, con la commedia che spesso scaturisce dal capovolgimento delle riflessioni di Dostoevskij, (esemplare in questo senso il dialogo tra Alex, che nutre ancora una profonda fede, e Ivan, materialista e sprezzante della religione, nella prima scena: «Le umane sofferenze sono i doni che in cielo portiamo alla Vergine Maria» dice il primo, rievocando il concetto più volte espresso dall’autore russo, «E secondo te la Madonna sta lì in cielo ad aspettare la nostra artrite? La verità è che quello che non uccide ci stronzifica, e siccome Dio non esiste, ogni cosa è permessa, persino l’omicidio!»), ma il senso dell’opera originale non è mai accantonato, sminuito o disperso.
Il tema nuovo ed estremamente forte presente in questo adattamento è quello della senilità: Alex e Ivan hanno ormai una memoria infedele, ed è interessante interrogarsi su quanto essa sia frutta dell’età e quanto dell’ipocrisia. Nel cuore degli anziani la sofferenza del rievocare i giorni del lontano passato si acuisce, il loro dolore è tragicamente puro, nella stessa misura in cui è puro il dolore dell’eroe quando viene messo di fronte all’atroce verità. E anche la figura di Grušenka incarna la più classica delle maschere teatrali, fedele e speranzosa nella lunga attesa della scarcerazione di Dimitri e poi, dopo la sua fuga dal carcere, scossa dalla sua feroce ricerca della vendetta e della verità. È per motivi come questo che il lavoro di Vico Quarto Mazzini non è affatto un pallido e subordinato adattamento dei Fratelli Karamazov, ma un’opera piena di vitalità tragica, capace di nutrirsi dell’energia comica dei suoi attori protagonisti.
Non resta quindi che attendere la conclusione di questo trittico con Delitto/Castigo, fiduciosi e consapevoli sia della potenza dell’opera originale che dell’allestimento di Rubini, in una continua contaminazione tra i classici della letteratura e la sperimentazione artistica che da tempo è il pregiato segno distintivo delle stagioni teatrali baresi.
¹ L’unica altra volta in cui ho vissuto un fenomeno di questo genere – anche se a parti invertite – è stato quando ho letto il romanzo “Hanno Tutti Ragione” di Paolo Sorrentino: in maniera automatica il mio cervello riproduceva le parole di Tony Pagoda con il tono di voce di Toni Servillo.
² Il grande pubblico ha già incontrato questi quattro attori nel film cult pluripremiato LaCapaGira del 1999 diretto da Alessandro Piva.

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